giovedì 18 novembre 2010

Noi facciamo così… (ricordi)


Quando due si accordano per chiedere una grazia del Signore, gli rivolgono una preghiera solo indirettamente, ma più direttamente l’uno all’altro ed è anche probabile che ciò che ottengono lo trovano prima in se stessi che non in Dio, quasi senza accorgersi che ogni cosa che hanno ricevuto, anche l’accordo, è un suo dono.
L’uomo che si unisce in quell’accordo che è ‹partecipazione› diventa un dipendente che opera in proprio, un ignorante che spiega, un nullatenente che dona: se non dona, se non spiega, se non opera non è uomo, perché solo comunicando è in unità con l’Onnipotente.
Mi ricordo un colloquio di carattere religioso con un pastore protestante in un clima di fraternità distesa e felice. Ad un certo punto il mio interlocutore mi fece due domande che esulavano dall’argomento trattato: “Perché lei dice sempre: ‹noi facciamo la volontà di Dio così e così…›?”. Mi chiedeva come mai io parlavo al plurale e come mai io lo assicuravo di eseguire una volontà che oltre ad essere difficile non era nemmeno sicura.
Io non so cosa risposi allora, ma forse la vera ragione di quel noi e di quella sicurezza sta tutta nella frase citata del Vangelo:  Io, Gesù vi dico che se due di voi vi accorderete per chiedere quel che tutte e due avrete bisogno, il Padre mio ve la concederà, perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro non come un estraneo, ma come interprete della loro stessa partecipazione con l’Onnipotente (confronta Mt. 18, 19-20).