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LA NUOVA ETÀ DEI PRIMI CRISTIANI
I capitoli che seguono comprendono dapprima una descrizione dell’ambiente storico dei primi cristiani, introduttiva alla lettura dei testi che parlano della diffusione della loro religione.
LA SOCIETà
DEI PRIMI CRISTIANI
Il mondo dell’economia
Il mondo della finanza e dell’economia dell’antica Roma ha la sua storia che accompagna di pari passo quella della sua espansione politica e, come questa, non sempre senza problemi e difficoltà.
Ai tempi di Nerone si può dire che la sua potenza non aveva rivali. Basta pensare che il cittadino di Roma trovava sui banchi del suo mercat perfino la seta cinese.
Il benessere economico dipende dal rapporto equilibrato tra produzione e consumo, tra investimenti e sfruttamento delle risorse. I più avanti tra noi di età ricordano l’estrema miseria, durante la guerra, per mancanza di beni che erano inutilmente sacrificati sui campi di battaglia. Allora un pezzo di pane era un tesoro ed il giorno dopo valeva molto di più di quanto fosse già costato troppo il giorno prima. Come conseguenza, l’inflazione era diventata una regola.
Quando invece non sembrano esserci più limiti alla disponibilità di beni, quando insomma non manca niente e quando maestranze e tecnici offrono una produzione superiore per quantità e qualità a quel che viene richiesto, i prodotti stessi sembrano aver quasi perso il loro valore, i mercati ristagnano, la disoccupazione dilaga. Eppure a ben vedere ricchezza e povertà non dipendono tanto da un equilibrio tra produzione e consumo, quanto piuttosto da una sufficiente larga partecipazione alla proprietà dei beni, considerati come uno dei mezzi principali per esplicare le doti e le capacita dei singoli. Tuttavia chi ne possiede troppi, ne rimane quasi ingolfato, come se essi fossero più importanti delle sue doti creative, mentre chi non ne ha a sufficienza si trova nell’impossibilità di metterle a frutto. Il primo, perché ha, non può aver di più ed il secondo non ha nemmeno qualcosa da dare. Per questo il ricco si annoia e si ottunde ed il povero si arrabatta e si dispera. L’uno dà la colpa della sua infelicità all’altro, ed ognuno si fa avanti per imporre la sua ricetta che egli crede adatta a guarire questi malanni. Chi ha troppi beni propone di consumarli del tutto ed in fretta, sperando cosi di forzare un incremento della loro produzione. Chi non ne ha vuol rimediare dilapidando i capitali o perlomeno le risorse destinate agli investimenti, anche rubandoli, se lo crede necessario. La stessa guerra, alla fin fine, sembra esser quasi solamente una occasione per consumare, senza motivo, e per rubare, senza ragione.
La Roma dei tempi di Nerone si presentava potente di mezzi, ricca di prodotti. Da tutte le province dell’impero affluivano i migliori ingegni, le maestranze più esperte, le merci più care e più rare. I palazzi, i templi, gli edifici pubblici sfavillavano d’oro, risplendevano di arte sopraffina, le sale dei tribunali e delle accademie mettevano in mostra personaggi togati di fama illustre, le botteghe le merci più esotiche e i prodotti della più perfetta tecnologia. Stadi, anfiteatri, teatri celebravano personalità note che erano diventate gli idoli delle folle e della moda del tempo. Ovunque la pubblicità più sfacciata, espressa perfino nelle statue dorate dei professionisti dello sport, celebrava quella gloria, alla quale credevano di partecipare, come in un sogno, per il solo fatto di esserne tifosi, quelli che di gloria non ne avrebbero mai potuta avere in altro modo. E nel medesimo tempo, al di là di questa realtà fastosa, dovunque 1’esercito della gente comune, senza la possibilità di godere appieno di questo benessere, anzi con la prospettiva di vedersi sempre più emarginato. Uno dei più bei templi dell’antichità, a detta di Plinio, quello di Marte Vendicatore, costruito da Augusto, era separato dalle dimore, caoticamente affastellate della gente comune, da un grande muro, eretto, come si diceva, per difendere la costruzione dagli eventuali incendi, di fatto, per separare e nascondere lo sciatto dal fastoso. A questa situazione economica fatta di ricchi e di poveri, insoddisfacente per gli uni, precaria per gli altri, chi comandava, l’imperatore del tempo, Nerone, propose la ricetta tipica dei ricchi, quella di aumentare la produzione, con il rifare completamente i quartieri vecchi e malandati della sua capitale. Ma, perché per fare il nuovo bisogna pur distruggere il vecchio e, perché chi ha tante possibilità ha sempre poco tempo e nessuna pazienza, la rimozione della Roma superata, fu affidata all’opera devastatrice di un incendio, forse provocato a bella posta, e comunque non domato a tempo, che dalla notte del 18 di luglio del 64 imperversò per ben nove giorni, distruggendo quasi completamente l’intera città. Siccome poi i ricchi ci tengono ad esser considerati generosi ed i poveri non possono preoccuparsi troppo di esser fastidiosi con le loro proteste, per combinare le due cose, anche Nerone aperse i suoi giardini e quasi le sue stesse abitazioni, per accogliere i senza tetto in alloggiamenti di fortuna, fatti costruire in fretta per l’occasione. E ancora, perché chi comanda giudica secondo la sua giustizia e il popolo talvolta senza la prudenza necessaria, si trovarono anche facilmente i colpevoli, scaricando sui cristiani l’indignazione dei primi e la rabbia dei secondi.
Ma chi erano i cristiani?
A quel tempo i più non si erano ancora interessati molto di loro, se li erano invece trovati tra i piedi, quasi per caso. Erano gente modesta, che lavoravano, si trovavano insieme per celebrare l’eucaristia, per ascoltare i loro maestri, gli apostoli, e per aiutarsi a vicenda; non solo, ma anche per mandare il loro superfluo ai confratelli, fino ai margini dell’impero, che avevano più bisogno di quanto ne avessero loro stessi. Gente quindi che non aveva ricette patentate ed approvate per risolvere le crisi economiche, ma che si volevano bene e cercavano di aumentare il benessere gli uni degli altri che non è quasi mai solamente un aumento di ricchezza, almeno nel senso che allora si credeva. Gente alla buona, quindi, gente comune, che pero predicavano con la loro vita da una parte una maggior modestia ed un maggior amore per la povertà, dall’altra un maggior impegno nel produrre a giovamento anche di chi era meno fortunato. Si trattava insomma di persone che a quel tempo erano fuori moda, quasi stranieri in patria, e che, quindi, avrebbero potuto dare, o anche di fatto davano, fastidio. E siccome i fastidi possono risultare un danno a chi non li sa affrontare e, perché chi fa danni e sempre colpevole, la conclusione logica anche se non ragionata servì ulteriormente come argomento per dar allora inizio alla più furibonda, feroce, sanguinosa loro repressione, simbolo ed esempio di tutte quelle che susseguirono successivamente fino ai nostri giorni.
Allora l’impero romano non risolse i suoi problemi economici, ma, avendone trovato i presunti colpevoli, poteva ancora tirare avanti in pace con la coscienza tranquilla di chi lo reggeva e di quelli che si trovavano a casa loro nei suoi confini.
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