mercoledì 14 maggio 2014

I primi passi della felicità

Ho scritto ultimamente un breve articolo su una delle più importanti questioni filosofiche che non sempre è conosciuta perché si crede che sia troppo difficile, mentre di fatto è solamente spiegata male ed é state il più delle volte accantonata quando era spiegata bene, al punto che oggi se ne è dimenticata l’importanza.
Si tratta della ‹partecipazione›.
Cosa significa questa parola?
Quando uno non è capito e/o quando non ha voglio di capire gli altri, allora egli stesso sta male e fa star male gli altri. Al contrario quando vive in una partecipazione felice vive in una famiglia felice e non si annoia mai.
Qualcuno osserva subito che per essere sempre contenti bisognerebbe vivere in paradiso, dove tutti sono santi e beati e dove chi comanda è il più santo e il più beato di tutti.
Ebbene proprio per questo noi tutti ammettiamo che esista un Dio di ogni beatitudine, solo che sempre o quasi mai non l’abbiamo ancora incontrato.
Ebbene la partecipazione è l’unica strada per incontrarlo.
Qualcuno può dubitare che sia l’unica e che sia possibile, ma di fatto se non la cerca non ne trova delle altre.
A questo punto qualcuno si precipiterà a leggere il mio articolo per trovarla …
Qualcun altro invece mi chiederebbe: Spiegamela tu qui e ora solamente in due parole!
E io lo voglio accontentare.
Immaginiamo una famiglia abituale: un papà provvidenziale che si affatica per i suoi cari, una sposa tanto buona quanto intelligente e i bambini sempre pronti a giocare e ad aiutare.
Ecco! Una società del genere vive la ‹partecipazione›!
La partecipazione non è solo un volersi bene o un adattarsi o un essere fortunati.
Non dipende da questo o da quell’altro dei vari conniventi.
È invece essere tutti insieme e ciascuno un Dio l’uno per l’altro.
In altre parole. Se ciascuno dei familiari, come se egli solo, senza pretenderlo dagli altri si chiedesse: come farebbe Dio al mio posto in questa e in quell’altra occasione, e conseguentemente agisse come egli stesso si è domandato, allora non avrebbe più bisogno di chiedersi cosa sia la partecipazione, altrimenti deve cercarla ancora una e una infinità di volte fin che la trova.
Ebbene c’è qualcuno che l’ha trovata e a lui dobbiamo chiedere spiegazioni perché è lui quel Dio che ce le può dare.

A questo punto dovete perdonarmi, ma se volete trovare una stradetta delle spiegazioni, almeno cominciate a leggere il mio articolo su il: paginario filosofico e poi chiedetemi, se vi pare, altre spiegazioni.

mercoledì 5 febbraio 2014

Passa il tempo.
Passa pur ferma la terra.
Passa l’acqua di un fiume.
Viene sempre
 Dio per donarci il suo amore. 


Una chiesuola, quattro case, un mistero che non si può spiegare, 
una storia che non si può raccontare, 
una vita che non si può dimenticare.  
         
                            ..

martedì 31 dicembre 2013

racconti di me stesso














Il sole non tramonta senza aver colorato il cielo e la terra.
È un’immagine di Chi ha creato il mondo e lo conserva.
















Quando esco di casa il mattino presto 
gracchiano i corvi per prendermi in giro ricordandomi i miei limiti 
mentre gli uccellini cinguettano per assicurarmi: 
«Voi valete più di molti passeri! (Mt.10,30)»

domenica 22 dicembre 2013

ALTRI AUGURI PER NATALE




Natale! 
Un Bambino in fasce, Gesù ci aspetta!











BUON NATALE! La festa di ogni anno 
che può cambiare in festa tutti i giorni del nostro anno.

















BUON NATALE!
Come a Natale e sarà sempre pace.




















BUON NATALE! La festa di ogni anno 
che può cambiare in festa tutti i giorni del nostro anno.















BUON NATALE! Andiamo nella nostra Betlemme 
dove Gesù ci aspetta.


lunedì 9 dicembre 2013

Nuove cartoline auguri NATALE

Una strada per arrivare a Betlemme un po’ di amore per arrivare da Gesù bambino.



Andiamo nella nostra Betlemme dove Gesù ci aspetta:

















.

sabato 12 ottobre 2013

massime


Un albero ben piantato non vacilla facilmente
protegge le bestiole, accoglie gli uccellini,
s’inchina nelle brezze, nelle tempeste è saldo
vive e non fatica, 
Pur di portar la pace, non si lamenta mai.
(Confronta a proposito il post successivo).


venerdì 11 ottobre 2013

UN INTRMEZZO SERIO

Un racconto autobiografico

Sono venuti da me due testimoni di Geova .
È una mia ferma opinione che a trattare bene il prossimo non si sbaglia mai e si guadagna sempre qualche cosa.
D'altra parte a farla breve...
Sono venuti ancora.
Alla fine di tutte le fini (il 17 08 2013) 
Li ho assicurati che sarei venuto io da loro quando avrei avuto un po' di tempo e quando avrei studiato i problemi che mi hanno proposto.

per farla breve mi son trovato a contatto con il dirigente locale della loro organizzazione al quale ho presentato uno:


Schema di un colloquio, preparato da G T (l'autore del paginario) per il responsabile dei testimoni di Geova di XX: signor  XY.

Preambolo sugli scopi del nostro incontro

Lo scopo dell’incontro, per quanto io vorrei rassicurare, non è uno scambio di opinioni o pareri diversi. Non è nemmeno una testimonianza di verità più o meno riconosciute, nemmeno il desiderio di una qualunque ‹conversione› desiderata o proposta che sia, bensì la dichiarata e voluta intenzione di stabilire un accordo comune in ordine alla ricerca di un aumento di conoscenze religiose.

In questo senso, personalmente, dopo aver accettato con entusiasmo, l’invito al colloquio da parte del signor XY, ho cercato non tanto quali fossero le opinioni diverse, ma la proposta di un metodo facile da attuare e ancor più facilmente accettabile, se non da tutti, almeno utile per il nostro colloquio. 
In questo senso ho cercato una o l’altra delle nostre differenti conoscenze, non tanto per sostenerne il pro e il contro delle loro interpretazioni, ma prima di tutto per descrivere con qualche esempio la possibilità pratica della applicazione di questo metodo.

Introduzione al problema dell’unità pratica nel campo religioso

Prima di cominciare il nostro colloquio vorrei almeno accennare a quelle disposizioni necessarie per una sua riuscita, pur ponderata, che elimini almeno i fraintesi linguistici prima ancora di quelli sia logici, sia dottrinali. 

Vorrei descrivere come persino nel discorso comune ci si possa trovare facilmente in un’incomprensione  reciproca, senza nemmeno volerlo. Si tratta del fenomeno delle sinonimie. Basta un esempio: La parola ‹rete› usata nel linguaggio comune significa una causa o un esempio di grovigli, impedimenti, mancanza di libertà o anche, di imbrogli che impediscono il colloquio e l’intesa; al contrario nel linguaggio usato nell'ambito delle relazioni gestite da internet, la parola ‹rete› ha un significato opposto, infatti annuncia la possibilità di libertà e di facilitazione in ordine alla ricerca di una intesa veloce con un evidente incremento discorsivo.
In un modo del tutto simile, è il passo della genesi (vedi § in calce) che vieta di mangiare il sangue degli animali ­­­‒ il sangue degli animali nel passo biblico è ben distinto dall’impossessarsi del sangue omologo ed equivalente di quegli altri viventi diversi dagli animali propriamente detti perché sono uomini, anzi fratelli. In questo senso il termine ‹trasfusione di sangue›, prescriverebbe una proibizione se significa ‹furto di una vita›, mentre nel discorso moderno significa del tutto il contrario cioè ‹partecipazione di vita›. Infatti, una trasfusione è un evidente intervento medico che permette la sopravvivenza fisica di alcuni operati oppure infortunati o, anche in generale, di persone che hanno perso incidentalmente o a causa di malattie il loro sangue senza tuttavia cambiare le caratteristiche naturali personali.

Il significato della prescrizione che comanda di astenersi da mangiare il sangue degli animali non contiene il significato del termine ‹trasfusione› che era un termine sconosciuto al tempo della stesura di questo passo nella Bibbia. In pratica come Giosuè comandò al sole di fermarsi ‒  e il sole si fermò ‒ non disse :«Terra fermati!» al posto di :«Sole fermati!»  per il semplice fatto che nessuno l’avrebbe capito al punto di rischiare d’esser preso per matto. 
In pratica il termine biblico ‹secondo la lettera› ‒ sia per il termine che indica il movimento del sole, sia quello di sangue non hanno lo stesso significato moderno. In alte parole il termine ‹sangue-come-cibo› non può essere confuso con quell'altro termine che indica una procedura trasfusionale.

Se è così semplice sbagliare nel recepire e nel comunicare il contenuto descrittivo delle parole, ancor più facilmente è esprimere il ‹valore› delle parole di uso comune con il risultato d'emettere giudizi che non distinguono le colpe al posto delle incomprensioni, con il risultato che gli stessi giudizi sono validi quanto le confusioni. In questi casi si tratta dell’uso di termini che possono indicare nello stesso tempo colpa e trascuratezza, oppure impegno e generosità.
In altre parole, il termine trasfusione ha due significati legali. Se la trasfusione riguarda una somministrazione superficiale e incontrollata, si manifesta semplicemente come un atto criminale, mentre se corrisponde a una donazione libera sia di chi ha offerto parte del suo sangue, sia di chi l’ha accettato, riferisce un significato del tutto diverso. In questo senso la trasfusione ‹criminale› e quella curativa non possono essere paragonate tra loro come equivalenti.

In ogni caso questo problema richiede due considerazioni diverse. Si tratta in questi casi di due valori diversi che oggi richiedono necessariamente due stime ben diverse.
In pratica quando si considera, per esempio, una legge limitandosi al suo significato letterale, ci si dimentica facilmente dello spirito che la informa e che unicamente la manifesta come obbligante e come insostituibile.
In questo senso la lettera della legge è necessaria perché possa essere redatta e compresa indiscutibilmente per essere coscientemente eseguita, mentre lo spirito della legge la rende obbligatoria dopo aver definito il suo valore e la sua intenzionalità.
In altre parole: chi dona o riceve il sangue sia proprio (auto-trasfusione), sia altrui, senza riconoscere il dono personale di Dio ‒_l’amore è personale, anche quando si esprime nella forma di chi parla con un dono materiale ‒ rischia di trasmettere l’odio nei riguardi della propria e dell’altrui vita donatagli da Dio, mentre chi lo usa come un valore spiritualmente insostituibile riconosce la responsabilità di salvare la vita per adempiere i disegni di Chi l’ha creata.

Un’altra differenza importante nell’usare termini simili per comunicare può generare una confusione tanto da rischiare di essere ritenuta una colpa. Si tratta dell’uso nel discorso riguardante i tempi diversi della declinazione dei verbi. Alle volte quando si descrive una realtà, si rischia di non precisare il tempo in cui decorre la sua manifestazione. Anche in questo caso non solamente si tratta di una grave imprecisione materiale, ma a maggior ragione di una violazione dei valori sia letterali sia spirituali.
Basta un esempio storico.
È vero che la redenzione consiste in un perdono da parte di Dio che ha una durata sicura e un valore indubitabile, eppure questa rinascita dell'uomo operata dalla redenzione divina potrebbe rimanere imperfetta, se non impossibile. Infatti, durante la vita fisica di ogni terrestre, è indiscutibile che una ‹tensione› a essere redento, non sia ancora una ~acquisizione~ completa, già raggiunta. Infatti, probabilmente l’uomo potrà raggiungere la perfezione solamente dopo la rigenerazione corporale, solo dopo la morte fisica dei comuni ‹mortali›. La confusione tra ‹acquisizione› e ‹tensione› è alla base della diversità del significato della redenzione per i cattolici e per i protestanti e, forse, anche tra cattolici e testimoni di Geova. È questa imprecisione o interpretazione dell'espressione linguistica che condiziona, il significato letterale dello spirito e, infine, la partecipazione non tanto conoscente, ma soprattutto cosciente da parte dei diversi interlocutori sul valore della redenzione.

Convenienza e necessità di una chiarezza di significati

A prima vista, queste riflessioni non sono pratiche.
Ebbene, prima di accantonarle, sarei tentato di sostituirle con una specie di racconto o di commedia che facilmente può capitare nel nostro vivere di tutti i giorni.
Si tratta della storia di fatti diversi impreziositi dal fenomeno ‹amore› che non manca mai in occasioni impensate con un aumento di tensioni e di acquisizioni. È una storia che merita un titolo: «La necessità di amare».
Una donna che non ama il marito non può avere nemmeno un bambino.
La necessità di dare un dono rivela la tensione dell’amore anche quando manca l’attuazione.
È la necessità che muove l’uomo a dare qualcosa a Dio, anche quando sembra un sacrificio o un martirio.
Allora muore la materia, trionfa lo spirito.

Citazione del passo della Genesi 9, 3-5

Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo, vi do tutto questo come già le verdi erbe. Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, ovvero il suo sangue. Del sangue vostro ossia della vostra vita io domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ognuno di suo fratello.

Parafrasi-commento di Genesi 9, 3-5

Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo, vi do tutto questo come già vi ho dato le verdi erbe, che non hanno vita perché non hanno sangue e come gli animali che non hanno vita se perdono tutto il loro sangue. Se vi vieto di uccidere animali solamente per impossessarvi della loro ‹vita animale›, a maggior ragione vi vieto di uccidere i vostri fratelli. Infatti, la vita dell'uomo non è ‹animale› ma ‹personale›: voi non siete come gli animali ma siete cioè fratelli, ovverosia legati da uno spirito che vi unisce perché avete ricevuto quell'amore che è propriamente un dono di Dio. Del sangue vostro, ossia della vostra vita, io domanderò conto a ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ognuno di suo fratello.

In altre parole: quando la vita di un animale da un punto di vista trascendente ‒ quando cioè rappresenta la forza, il vigore e le capacità animali che un uomo debole e indifeso desidererebbe possedere, al punto di considerare gli animali degni di essere innalzati e adorati come idoli ‒ voi non potete appropriarvene al punto di ‹animalizzarvi› al posto di umanizzarvi sempre più e sempre meglio. Al contrario, se voi mangiate la carne di un animale così come mangiate le erbe verdi, non dimostrate di rinunciare alla vostra vita, pur di impossessarvi delle forze vitali che sono fisiche di un animale che ha capacità e proprietà ben diverse e il più delle volte fisicamente superiori di quelle umane. Come un uomo moderno si meccanicizza quando ammira la sua automobile e la eleva alla dignità della sua ‹amabile-amata›, così un uomo non può animalizzarsi se pensa al suo bue come se fosse la sua più ‹cara-forza-amata› o il suo più ‹caro-compagno-d- vita› che egli possa desiderare. Come il cannibale mangia la carne del suo nemico per appropriarsi delle sue forze, così l’uomo non può mangiare il sangue e qualsiasi altra cosa solo per appropriarsi di una forza altrimenti impossibile, perché la vera forza naturale dell’uomo, anche quando è limitata, sia fisica sia trascendente, è invece ‹umana› perché è sempre avvalorata dalle virtù dello spirito e illuminata da una conoscenza della Verità.

Ps. Altre riflessioni in via di compilazione su: paginariofilosofico.blogspot.com.

Prima di chiudere il mio racconto 

Mi è sembrato conveniente presentare con una lettera il tutto al mio parroco almeno per non fare la figura del saccente perchè, da medico in pensione, nessuno pensi che abbia cambiato professione spaggiandomi per un esegeta dilettante. 


17 08 2013 Lettera indirizzata al parroco di XX 

Rev. Prof. Dr. XZ

Se non per dovere, almeno per conoscenza mi sono permesso di inviarle una breve relazione di un mio incontro con il responsabile dei testimoni di Geova di XX. signor  XY.
Rimango sempre a sua disposizione, ovviamente anche per correzioni. 
[...]
Le assicuro la mia unità e le mie preghiere in segno di stima e di ringraziamento.
                                           Firmato gt