Un racconto autobiografico
Sono venuti da me due testimoni di Geova .
È una mia ferma opinione che a trattare bene il prossimo non si sbaglia mai e si guadagna sempre qualche cosa.
D'altra parte a farla breve...
Sono venuti ancora.
Alla fine di tutte le fini (il 17 08 2013) Li ho assicurati che sarei venuto io da loro quando avrei avuto un po' di tempo e quando avrei studiato i problemi che mi hanno proposto.
per farla breve mi son trovato a contatto con il dirigente locale della loro organizzazione al quale ho presentato uno:
Schema di un
colloquio, preparato da G T (l'autore del paginario) per il responsabile dei testimoni di
Geova di XX: signor XY.
Preambolo
sugli scopi del nostro incontro
Lo scopo dell’incontro, per quanto io vorrei rassicurare, non è uno scambio
di opinioni o pareri diversi. Non è nemmeno una testimonianza di verità più o
meno riconosciute, nemmeno il desiderio di una qualunque ‹conversione›
desiderata o proposta che sia, bensì la dichiarata e voluta intenzione di
stabilire un accordo comune in ordine alla ricerca di un aumento di conoscenze
religiose.
In questo senso, personalmente, dopo aver accettato
con entusiasmo, l’invito al colloquio da parte del signor XY, ho cercato non
tanto quali fossero le opinioni diverse, ma la proposta di un metodo facile da
attuare e ancor più facilmente accettabile, se non da tutti, almeno utile per
il nostro colloquio.
In questo senso ho cercato una o l’altra delle nostre
differenti conoscenze, non tanto per sostenerne il pro e il contro delle loro
interpretazioni, ma prima di tutto per descrivere con qualche esempio la
possibilità pratica della applicazione di questo metodo.
Introduzione
al problema dell’unità pratica nel campo religioso
Prima di cominciare il nostro colloquio vorrei almeno
accennare a quelle disposizioni necessarie per una sua riuscita, pur ponderata,
che elimini almeno i fraintesi linguistici prima ancora di quelli sia logici,
sia dottrinali.
Vorrei descrivere come persino nel discorso comune ci si possa
trovare facilmente in un’incomprensione
reciproca, senza nemmeno volerlo. Si tratta del fenomeno delle sinonimie.
Basta un esempio: La parola ‹rete› usata nel linguaggio comune significa una
causa o un esempio di grovigli, impedimenti, mancanza di libertà o anche, di
imbrogli che impediscono il colloquio e l’intesa; al contrario nel linguaggio
usato nell'ambito delle relazioni gestite da internet, la parola ‹rete› ha un
significato opposto, infatti annuncia la possibilità di libertà e di
facilitazione in ordine alla ricerca di una intesa veloce con un evidente
incremento discorsivo.
In un modo del tutto simile, è il passo della genesi
(vedi § in calce) che vieta di mangiare il sangue degli animali ‒ il sangue
degli animali nel passo biblico è ben distinto dall’impossessarsi del sangue
omologo ed equivalente di quegli altri viventi diversi dagli animali
propriamente detti perché sono uomini, anzi fratelli. In questo senso il
termine ‹trasfusione di sangue›, prescriverebbe una proibizione se significa
‹furto di una vita›, mentre nel discorso moderno significa del tutto il contrario
cioè ‹partecipazione di vita›. Infatti, una trasfusione è un evidente
intervento medico che permette la sopravvivenza fisica di alcuni operati oppure
infortunati o, anche in generale, di persone che hanno perso incidentalmente o
a causa di malattie il loro sangue senza tuttavia cambiare le caratteristiche
naturali personali.
Il significato della prescrizione che comanda di
astenersi da mangiare il sangue degli animali non contiene il significato del
termine ‹trasfusione› che era un termine sconosciuto al tempo della stesura di
questo passo nella Bibbia. In pratica come Giosuè comandò al sole di fermarsi ‒ e il sole si fermò ‒ non disse :«Terra
fermati!» al posto di :«Sole fermati!»
per il semplice fatto che nessuno l’avrebbe capito al punto
di rischiare d’esser preso per matto.
In pratica il termine biblico ‹secondo la
lettera› ‒ sia per il termine che indica il movimento del sole, sia quello di
sangue non hanno lo stesso significato moderno. In alte parole il termine ‹sangue-come-cibo›
non può essere confuso con quell'altro termine che indica una procedura
trasfusionale.
Se è così semplice sbagliare nel recepire e nel
comunicare il contenuto descrittivo delle parole, ancor più facilmente è esprimere
il ‹valore› delle parole di uso
comune con il risultato d'emettere giudizi che non distinguono le colpe al
posto delle incomprensioni, con il risultato che gli stessi giudizi sono validi
quanto le confusioni. In questi casi si tratta dell’uso di termini che possono
indicare nello stesso tempo colpa e trascuratezza, oppure impegno e generosità.
In altre parole, il termine trasfusione ha due significati
legali. Se la trasfusione riguarda una somministrazione superficiale e
incontrollata, si manifesta semplicemente come un atto criminale, mentre se
corrisponde a una donazione libera sia di chi ha offerto parte del suo sangue,
sia di chi l’ha accettato, riferisce un significato del tutto diverso. In
questo senso la trasfusione ‹criminale› e quella curativa non possono essere
paragonate tra loro come equivalenti.
In ogni caso questo problema richiede due
considerazioni diverse. Si tratta in questi casi di due valori diversi che oggi
richiedono necessariamente due stime ben diverse.
In pratica quando si considera, per esempio, una legge
limitandosi al suo significato letterale,
ci si dimentica facilmente dello spirito che la informa e che unicamente la
manifesta come obbligante e come insostituibile.
In questo senso la lettera della legge è necessaria perché
possa essere redatta e compresa indiscutibilmente per essere coscientemente
eseguita, mentre lo spirito della legge la rende obbligatoria dopo aver definito
il suo valore e la sua intenzionalità.
In altre parole: chi dona o riceve il sangue sia
proprio (auto-trasfusione), sia altrui, senza
riconoscere il dono personale di Dio ‒_l’amore è personale, anche quando si
esprime nella forma di chi parla con un dono materiale ‒ rischia di trasmettere
l’odio nei riguardi della propria e dell’altrui vita donatagli da Dio, mentre
chi lo usa come un valore spiritualmente insostituibile riconosce la
responsabilità di salvare la vita per adempiere i disegni di Chi l’ha creata.
Un’altra differenza importante nell’usare termini
simili per comunicare può generare una confusione
tanto da rischiare di essere ritenuta una colpa.
Si tratta dell’uso nel discorso riguardante i tempi diversi della declinazione
dei verbi. Alle volte quando si descrive una realtà, si rischia di non
precisare il tempo in cui decorre la sua manifestazione. Anche in questo caso
non solamente si tratta di una grave imprecisione materiale, ma a maggior
ragione di una violazione dei valori sia letterali sia spirituali.
Basta un esempio storico.
È vero che la redenzione consiste in un perdono da
parte di Dio che ha una durata sicura e un valore indubitabile, eppure questa
rinascita dell'uomo operata dalla redenzione divina potrebbe rimanere
imperfetta, se non impossibile. Infatti, durante la vita fisica di ogni
terrestre, è indiscutibile che una ‹tensione› a essere redento, non sia ancora
una ~acquisizione~ completa, già raggiunta. Infatti, probabilmente l’uomo potrà
raggiungere la perfezione solamente dopo la rigenerazione corporale, solo dopo
la morte fisica dei comuni ‹mortali›. La confusione tra ‹acquisizione› e
‹tensione› è alla base della diversità del significato della redenzione per i
cattolici e per i protestanti e, forse, anche tra cattolici e testimoni di
Geova. È questa imprecisione o interpretazione dell'espressione linguistica che
condiziona, il significato letterale dello spirito e, infine, la partecipazione
non tanto conoscente, ma soprattutto cosciente da parte dei diversi interlocutori
sul valore della redenzione.
Convenienza
e necessità di una chiarezza di significati
A prima vista, queste riflessioni non sono pratiche.
Ebbene, prima di accantonarle, sarei tentato di
sostituirle con una specie di racconto o di commedia che facilmente può
capitare nel nostro vivere di tutti i giorni.
Si tratta della storia di fatti diversi impreziositi
dal fenomeno ‹amore› che non manca mai in occasioni impensate con un aumento di
tensioni e di acquisizioni. È una storia che merita un titolo: «La necessità di
amare».
Una donna che non ama il marito non può avere nemmeno
un bambino.
La necessità di dare un dono rivela la tensione
dell’amore anche quando manca l’attuazione.
È la necessità che muove l’uomo a dare qualcosa a Dio,
anche quando sembra un sacrificio o un martirio.
Allora muore la materia, trionfa lo spirito.
Citazione del passo della Genesi
9, 3-5
Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo, vi do
tutto questo come già le verdi erbe. Soltanto non mangerete la carne con la sua
vita, ovvero il suo sangue. Del sangue vostro ossia della vostra vita io
domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell'uomo
all'uomo, a ognuno di suo fratello.
Parafrasi-commento
di Genesi 9, 3-5
Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo, vi do
tutto questo come già vi ho dato le verdi erbe, che non hanno vita perché non
hanno sangue e come gli animali che non hanno vita se perdono tutto il loro
sangue. Se vi vieto di uccidere animali solamente
per impossessarvi della loro ‹vita animale›, a maggior ragione vi vieto di
uccidere i vostri fratelli. Infatti, la vita dell'uomo non è ‹animale› ma
‹personale›: voi non siete come gli animali ma siete cioè fratelli, ovverosia
legati da uno spirito che vi unisce perché avete ricevuto quell'amore che è
propriamente un dono di Dio. Del sangue vostro, ossia della vostra vita, io domanderò conto a ogni essere vivente e
domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ognuno di suo fratello.
In altre parole: quando la vita di un animale da un punto di vista
trascendente ‒ quando cioè rappresenta la forza, il vigore e le capacità
animali che un uomo debole e indifeso desidererebbe possedere, al punto di
considerare gli animali degni di essere innalzati e adorati come idoli ‒ voi non
potete appropriarvene al punto di ‹animalizzarvi› al posto di umanizzarvi
sempre più e sempre meglio. Al contrario, se voi mangiate la carne di un
animale così come mangiate le erbe verdi, non dimostrate di rinunciare alla
vostra vita, pur di impossessarvi delle forze vitali che sono fisiche di un
animale che ha capacità e proprietà ben diverse e il più delle volte fisicamente
superiori di quelle umane. Come un uomo moderno si meccanicizza quando ammira
la sua automobile e la eleva alla dignità della sua ‹amabile-amata›, così un uomo
non può animalizzarsi se pensa al suo bue come se fosse la sua più ‹cara-forza-amata›
o il suo più ‹caro-compagno-d- vita› che egli possa desiderare. Come il
cannibale mangia la carne del suo nemico per appropriarsi delle sue forze, così
l’uomo non può mangiare il sangue e
qualsiasi altra cosa solo per appropriarsi di una forza altrimenti impossibile,
perché la vera forza naturale dell’uomo, anche quando è limitata, sia fisica
sia trascendente, è invece ‹umana› perché è sempre avvalorata dalle virtù dello
spirito e illuminata da una conoscenza della Verità.
Ps. Altre riflessioni in via di compilazione su: paginariofilosofico.blogspot.com.
Prima di chiudere il mio racconto
Mi è sembrato conveniente presentare con una lettera il tutto al mio parroco almeno per non fare la figura del saccente perchè, da medico in pensione, nessuno pensi che abbia cambiato professione spaggiandomi per un esegeta dilettante.
17 08
2013 Lettera
indirizzata al parroco di XX
Rev. Prof. Dr. XZ
Se non per dovere, almeno per conoscenza mi sono
permesso di inviarle una breve relazione di un mio incontro con il responsabile
dei testimoni di Geova di XX. signor XY.
Rimango sempre a sua disposizione, ovviamente anche
per correzioni.
[...]
Le assicuro la mia unità e le mie preghiere in segno
di stima e di ringraziamento.
Firmato
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