Il 1902 ho cominciato a scrivere i miei diari
Il primo di essi era intitolato PINARIO 1902 (poi cambiato il titolo in paginario).
8 anni fa ho scritto il PAGINARIO 2007.
Oggi l'hö letto e ho visto quanto sia ATTUALE.
Un poco per volta lo correggo e lo pubblico sui miei blog.
Aggiungerò anche le foto che dicono ancor meglio degli scritti.
paginario 2007
maggio 07
1 mag. 07
Una festa principale
Oggi è il primo maggio festa della patrona della Baviera e festa dell’associazionismo operaio e, guarda caso, io ho finito di scrivere le mie considerazioni sulla figura biblica di, Giuseppe, il figlio di Giacobbe. La sua caratteristica è di essere una autorità, che corrisponde ad un incarico: quello di amare i suoi fratelli – servirli e soccorrerli nella necessità. Si tratta dell’autorità spirituale che è tipica e messa in evidenza in Maria, la madre di Dio. Ogni uomo e, a maggior ragione, gli operai non possono rinunciare a questa autorità, nei limiti della loro competenza, che esprime quell’incarico di cui sono stati investiti dal Signore.2 mag. 07
Un libro del papa
Perché Ratzinger è diventato papa?Perché è una persona che ama – servus servorum Dei –, ovverosia servo degli amori dell’Amore. Ho letto il suo commento alla parabola del buon Samaritano nel libro ‹Gesù di Nazaret› testé pubblicato: egli non giudica le persone che non hanno aiutato il viandante rapinato dai ladroni, anzi le scusa dando la colpa alla loro imperizia o alla paura, ma così facendo, mette ancor più in evidenza l’amore di chi lo ha soccorso che non si è fermato davanti alle difficoltà. Ratzinger spiega magistralmente che il Samaritano ha prestato il suo aiuto perché si sentiva simile e prossimo dell’uomo ai margini della strada, come uno che si poteva trovare nelle stesse sue angustie, e che le pativa in prima persona ma, proprio per questo, le affrontava e le risolveva. La persona che ama cerca le difficoltà per risolverle, perché è un simile tra simili, un uguale tra uguali, in una parola è un prossimo.
Nella parabola, aggiungo io, mancano le persone che criticano e che sono in opposizione contro i ladri e contro i nemici della società. Questo si capisce perché ai tempi di Gesù non si poteva contare su una giustizia sociale efficiente, mentre nei nostri tempi la tecnica e il progresso si dicono pronti a risolvere ogni problema. Oggi l’occhio vigile di un satellite, che spia ogni mossa di tutti e di ciascuno, ed immagazzina i dati nei computer per metterli a disposizione della polizia, permette di sorvegliare anche quei robot che sembrano uomini e, se qualcuno di essi sbaglia, individuarlo, giudicarlo, e inviarlo in un campo di rieducazione, oppure in una officina di riparazione. Questa conclusione non è dettata dall’ironia, ma è l’ideale di chi non ama e che non sa redimere. In altre parole non voglio affermare l’inutilità della polizia, ma la necessità dell’amore.
Vorschuss an Sympathie
Il papa con il suo libro non chiede un riconoscimento della sua competenza che noi siamo chiamati a tribuirgli quasi per dovere, ma solamente quel «Vorschuss an Sympathie», ovverosia un anticipo, o un credito, di simpatia da parte del lettore del suo libro, senza del quale viene a mancare ogni comunicazione (Joseph Ratzinger - Jesus von Nazareth). Si tratta di quella disposizione affettiva che dipende dalle virtù dello spirito dell’uomo, che abbiamo chiamata pre-cognizione, che è a priori e necessaria per conseguire qualsiasi conoscenza, quindi, anche per capire il pensiero di un autore così importante. Il papa aggiunge: «senza un anticipo di simpatia, è impossibile conseguire qualsiasi comprensione».
Amore e ragione
Certe teorie sociali affermano che ciò che una persona possiede è quella stessa cosa che non possiede più il suo simile, in pratica che gli è stata sottratta. Ebbene cosa si deve pensare a proposito, forse che chi da qualcosa al suo prossimo è un insensato perché se ne priva, oppure è uno che ama perché la dona?
Prima di tutto è una persona che vive la depossessione, infatti se si è privato di qualcosa ne ha perso il possesso ma, così facendo, ha affermato che vale di più il dare, a costo di perdere, del possedere, a conferma del proprio vantaggio. Questa scelta potrà persino essere motivata da un erotismo più fine e più malizioso se mira ad un implicito compenso, ma se chi la fa ripete la stessa scelta fino alla morte, ovverosia fino alla donazione di sé, non solo deve rinunciare a qualsiasi possesso, ma deve anche ‹uccidere› quel se stesso insieme a qualsiasi suo erotismo. Se egli muore per necessità e non per amore, non rimane niente di lui, mentre se ha donato se stesso, allora il suo amore durerà per sempre come una partecipazione che è un dono di vita, anzi che è una ‹vita-dono› che non muore. Chi ama è costretto ad una scelta continua che corrisponde ad una discriminazione sempre più pura tra erotismo e amore. Chi vive l’amore non è più un uomo, ma un angelo, perché l’uomo è morto ed è risorto un ‹essere-amore›. Qualcosa di analogo capita anche al bambino che si addormenta nella notte dei sogni per svegliarsi uomo dopo aver rinunciato alle sue favole, malgrado fossero state le più belle e piacevoli fantasticherie che egli possedeva.
La possessione di un qualcosa è una irrealtà nei confronti del reale, mentre il dono è il razionale vero di ogni realtà.
3 mag. 07
La soluzione di un problema
Io vorrei riassumere in due parole la soluzione di un grosso problema che richiederebbe l’esposizione di un intero libro – l’intero libro lo avevo già incominciato un mese fa, ma per finirlo non basterebbe una vita. Si tratta quindi di un tentativo che potrebbe benissimo sembrare una pretesa.Il problema è questo: la comunità dei primi cristiani ha ‹creato› il ‹Gesù› dei vangeli o, invece, il Gesù dei Vangeli ha creato la chiesa?
In altre parole, la comunità dei cristiani ha trovato nei vangeli la descrizione del Gesù storico, oppure ha descritto la storia di un ‹Gesù-ideale› che non è necessariamente esistito nella realtà?
Probabilmente la questione formulata in questo modo è mal posta.
Si dovrebbe prendere il Vangelo come un documento che rispecchia non una storia, non una idealizzazione, ma la conoscenza di una realtà avvenuta duemila anni fa. In pratica che cosa hanno conosciuto i primi cristiani?
Se la conoscenza non può essere obiettiva, o lo può essere solo per l’uomo del duemila, questo significa mettere in dubbio qualsiasi conoscenza, anche quella dell’esistenza degli stessi conoscitori e della realtà in genere, se invece si ritiene possibile una conoscenza di qualcosa di reale, allora, perché i primi cristiani devono essersi imbrogliati e devono imbrogliare il loro prossimo?
Quindi la vera risposta al problema sta nel riconsiderare in che cosa consiste la conoscenza e fino a che punto essa è obiettiva. A questo fine se si considera la conoscenza come il risultato di quel giudizio che l’uomo formula a confronto con le realtà, il problema non è più solamente logico, ma è anche affettivo – nel senso di volere il bene – e riguarda anche il proprio naturale della realtà stessa. Per questo una conoscenza diventa sempre più chiara quanto maggiormente pura diventa la coscienza di chi esercita e consegue la conoscenza stessa e quanto più si mantiene aderente al concreto. Ora, una conoscenza così pura, così chiara e così propria come quella riferita nel Vangelo non si trova sulla terra nemmeno tra i primi cristiani, ma si trova solamente in quel personaggio dei vangeli che si chiama Gesù. Questo significa semplicemente che, se non si trova sulla terra, non può essere stata inventata dai terreni, ma rivelata solamente da quel Gesù che, se è vissuto sulla terra, era un uomo ma, a mo’ dei cieli, perché era nello stesso tempo Dio.
Il Vangelo non solo riferisce una storia, ma anche una realtà pratica e concreta, scesa dall’alto sulla terra anzi, non solo riferisce, ma induce a rivedere persino il problema filosofico della conoscenza per portarla alla capacità di comprendere la concretezza di una rivelazione e non solamente la incompiutezza della realtà.
Riconsiderare la ‹conoscenza›
L’uomo che incontra un suo simile o una realtà si aspetta di trovarsi di fronte a un qualcuno o qualcosa che gli rappresenta un primo gradino per raggiungere la vetta di un ‹ideale›. In pratica egli lo vede come una realtà che in parte è uguale a sé e che quindi egli può prendere, ma anche diversa e che quindi può copiare, ma non prendere. Questo prendere-copiare è un comprendere ed un assimilare che nello stesso tempo è distinguere e unire e non è mai negare. Facendo così vede l’appariscente, ma contempla la realtà…
9 mag. 07
L’uomo del Dio biblico
L’uomo della bibbia è una persona in cammino verso una terra promessa. In altre parole è sempre proteso a raggiungere una certa perfezione, per obbedire ad una promessa che è nello stesso tempo una chiamata (vocazione) che Dio gli ha rivolto.Non è quindi solamente un Abramo o un altro dei patriarchi. Non solamente un Ebreo come tutti i suoi connazionali, neppure un uomo come i suoi simili che vivono sulla terra ma, se tende alla perfezione, è un ‹quasi simile a Dio› come è un cristiano che è chiamato ad essere un altro Cristo, morto in terra risorto in cielo.
L’uomo di Dio è un mistico che muore quando si separa da Dio, perché Dio è Vita, al punto che l’uomo senza Gesù è un nemico dei suoi simili e di se stesso, che uccide e che si uccide; Dio è Verità e senza di lui l’uomo è falso e non crede nemmeno a se stesso. Il Dio dell’uomo non è solamente una persona che gli dà i suoi doni, ma gli comunica se stesso per partecipazione, non è solamente il Dio delle realtà e della terra promessa, ma è Dio: è L’Ideale promesso, comunicato, partecipato senza limiti e senza oscurità.
Conoscenza e responsabilità
La conoscenza consiste in un adattamento del soggetto conoscente nei riguardi della realtà e nello stesso tempo in una assimilazione della realtà stessa; non è, invece, un adattare la realtà da parte di chi la vuole conoscere, né una assimilazione della persona razionale a un mondo solamente sensibile. È anche vero che se la realtà si adatta e si fa assimilabile per la persona che la conosce, allora la conoscenza diventa reciproca e, quindi, più facile, ma ciascun uomo è responsabile solo del proprio agire e non dell’altrui. La conoscenza consiste in un farsi uno e non nel pretendere che l’altro o l’altra cosa si faccia comprensibile.
10 mag. 07
Massime
7038L’uomo è un animale
dotato di una natura efficace
di una volontà effettiva
di un giudizio discriminante.
7039
La natura è luminosa
la ragione è chiara
lo spirito è puro.
7040
La realtà è più fantastica di qualsiasi illusione
e più concreta di qualsiasi previsione.
7041
Persino quelle riflessioni che sono errate
si possono sempre correggere.
7042
Il Signore ha tolto ogni abbaglio
alla icona della terra promessa
che si può raggiungere solo con la morte
e la morte in croce.
Foto impressioni
Aspettare per trovarsi insieme...
oppure mettersi insieme senza aspettare?
Anche le cose più grandi necessitano di un bidone più piccolo per i rifiuti.
La vita è un quadro con in mezzo una fonte che alle volte sembra sigillata e invece è protetta dal ghiaccio invernale.
I contrasti precisano e definiscono, non oppongono.
La natura è pacifica ma non rassegnata ...
ricca ma non esorbitante,
varia non confusa,
modesta non trasandata,
la natura nelle sue creature è un dono di Dio.
11 mag. 07
Mosè
Sto leggendo la bibbia e rimango sorpreso per tutto ciò che mi comunica.Mosè non è quell’uomo comune che aveva iniziato la sua esistenza in un cesto di vimini, deposto sulle acque di un fiume, trovato per caso da una principessa straniera: non è un caso tra tanti casi, ma ha una vocazione, anche se egli non la conosce e se i suoi contemporanei non sempre gliela riconoscono.
Questo, perché egli stesso non si affida al caso. Ormai adulto si lascerà guidare dalla sua coscienza, nel difendere l’oppresso, nel propugnare la giustizia e questo gli costerà l’esilio, ma anche questa alienazione non è un caso fortuito. Egli sarà richiamato dal deserto per guidare un popolo e non solamente per guidare se stesso negli stenti e nelle fatiche di una vita a servizio del suo prossimo. Ogni vita comincia nell’incertezza, ma ogni uomo la può vivere seguendo una guida e obbedendo ad una chiamata. Mosè non ha seguito se stesso, e non ha guidato un popolo verso una terra promessa, ma ha seguito il Signore e ha guidato se stesso prima ancora del suo popolo sulla strada che il Signore gli indicava ad ogni piè sospinto. Si tratta di fare il primo passo muovendosi sulle sue indicazioni che non sono mai per caso, e poi quello successivo allo stesso modo di come si è fatto il primo. Quando Mosè seguirà la colonna di luce che gli indicherà la via preparatagli dal Signore non conosce il domani, ma non dispera di avere un domani già preparato da Dio stesso. I fatti capitati a Mosè sono eccezionali per importanza, ma non esorbitanti per significato; anche i fatti comuni e di poco conto lo hanno preparato a grandi imprese. Mosè non ha conosciuto la sua missione se non dopo di aver compreso ciò che indicavano le comuni vicissitudini della sua vita, perché le prime sue decisioni hanno permesso quelle più gravi prese poi.
Non sono importanti gli eventi straordinari, ma può essere sempre straordinaria la risposta che si può dare anche a quelli ordinari di tutti i giorni.
14 mag. 07
Conoscenza intuitiva e conoscenza mistica (filosofia)
Io devo ringraziare Mosè la bibbia e il decalogo non solo per quel che comunicano, ma persino perché mi hanno costretto a completare tutto quello che avevo scritto fin qui sulla conoscenza.Leggendo la bibbia e cercando di capire il messaggio che mi annunciava sono stato costretto a rendermi conto di che cosa sia la conoscenza mistica e a distinguerla da quella eidetica. La conoscenza eidetica è caratterizzata dal riconoscimento del finalismo insito nella realtà e non solamente nelle sue apparenze, ma con questo non è ancora conoscenza (nel senso di Bekannschaft o di acquaintance), come invece lo è la conoscenza mistica.
La conoscenza mistica è possibile a qualsiasi età, anche nel bambino, quella eidetica è propria dell’uomo maturo.
Tra la razionalità concettuale e quella eidetica c’è un passaggio caratterizzato dal diverso significato delle due conoscenze che esse permettono. Al posto di illustrare questa differenza con una disquisizione teorica preferisco qui descrivere i due processi cognitivi come avvengono in pratica.
Ammettiamo che il fidanzato porti alla sua amata un regalo, ebbene, quale è il significato di questo regalo? Ovviamente non è un significato uguale per tutti e per qualsiasi cosa regalata. È diverso se è un monile di oro gemmato di pietre preziose, oppure se è un mazzo di rose, eppure questa valutazione corrisponde ad un apprezzamento economico, non ad una valorizzazione del significato del dono: di per sé, senza dipendere dal fatto che è, o non è un dono, il prezzo del dono esprime solamente un valore economico, ma se invece è un dono – che non cerca un compenso più o meno palese –, non si può misurare a suon di moneta. La differenza tra significato e prezzo sta tutto nella effettività – nel senso di finalità – diversa della stessa realtà. Il prezzo è legato all’oggetto ed è oggettuale, il significato è legato alla manifestazione delle intenzioni del soggetto e in corrispondenza – non in dipendenza necessaria – è altresì legato al riconoscimento intenzionale e volontario da parte di quell’altro soggetto che lo riceve; in altre parole, il significato è una realtà sia intersoggettiva sia obiettiva. Dove sta questa differenza? Nel fatto che gli interlocutori e la realtà materiale sono tra loro legati da un ordine e non da una necessità. L’ordine è libero e quindi deve sottostare ad una volontà di ordine per essere obiettivo o, in altre parole, per rimanere concreto e reale, mentre la necessità non ha né un motivo logico né una mozione intenzionale: non è finalizzata, ma è determinata, infatti, il prezzo di un regalo non dipende dall’amore di chi lo dona, ma è stabilito da chi glielo ha venduto. Quando la conoscenza cerca cause e scopi diventa comunicazione di un messaggio e di un ordine e non scambio economico e, quando la conoscenza comunica, allora dipende da una razionalità che comprende le idee e che si chiama eidetica, quando cerca preziosità e misure dipende da una razionalità che comprende avvisi e istruzioni che sono concetti, e la conoscenza relativa si chiama concettuale. Oltre a questi modi di conoscere ne esiste ancora uno che è la ‹conoscenza mistica› ben diversa da tutti gli altri anche da quella eidetica. Di per sé prima di una conoscenza mistica si dovrebbe parlare di una ‹conoscenza intuitiva›, ma la differenza è solo di grado e non di valore – in pratica quella intuitiva è più comune e usata in continuità e non solamente per argomenti ‹difficili›. Il termine include un qualcosa di misterioso. È più facile comprendere in che cosa consiste paragonandola alla conoscenza scientifica, che è un altro modo per descrivere con un esempio come avvengono le conoscenze concettuali e eidetiche. La conoscenza scientifica consiste in una risposta sperimentale che cerca e vuole conseguire la prova di una ipotesi; fornisce un largo margine di sicurezza su un argomento limitato, ma non aumenta la conoscenza bensì la comprova e la precisa. Quel che aumenta la conoscenza non è la sola sperimentazione, ma la partecipazione unitaria tra soggetto ed oggetto conosciuto; va da un minimo di intuizione ad un massimo mistico: consiste nella costruzione di quel quasi ente nuovo che in tedesco si chiama Bekanntschaft, che in certi casi assomiglia ad una specie di innamoramento, per arrivare a quella unione che, appunto, si dice mistica. Il termine indica la conoscenza di un mistero che più propriamente si riferisce al modo di conoscere non all’oggetto conosciuto, infatti mentre la conoscenza scientifica usa della ripetizione di un fenomeno come prova della sua possibilità e della sua concretezza, per cui, almeno in apparenza, usa una razionalità programmata e comprensibile, la conoscenza mistica non è voluta esclusivamente dal soggetto conoscente, non è limitata al sensibile, ma consiste in una sorta di comunicazione non delle ragioni, ma dello stesso modo di ragionare, non dei sentimenti, ma dell’affettività stessa, non delle caratteristiche naturali ma, entro certi limiti, di quel proprio naturale che, se ovviamente non è la stessa natura al completo degli interlocutori, pur tuttavia è una certa sua partecipazione. La conoscenza mistica cambia la persona che la sperimenta ed aumenta sia la conoscenza dell’oggetto sia la stessa capacità di conoscere del soggetto conoscente. Una persona che ha acquisito una conoscenza mistica non ha bisogno di prove per essere certa della verità, perché vive una ‹corrispondenza› con il ‹conosciuto› che è vitale e, per così dire, comune che costituisce una ‹partecipazione› della stessa vita del soggetto e dell’oggetto conosciuto, al punto che morirebbero se venisse a mancare. Non tutte le conoscenze mistiche sono una sorta di rivelazione improvvisa, ma anche quelle che aumentano giorno dopo giorno assumono tutti i caratteri di un aumento di conoscenza che si può benissimo chiamare rivelazione. La persona che la prova non è più quella di prima e anche gli altri si accorgono che è cambiata radicalmente. Per questo una vera conoscenza mistica è sempre reale e concreta, mentre i misticismi che non sono mistici, sono falsi, non sono mai reali né concreti. Essi assomigliano al fenomeno mistico, ma solo esternamente, al contrario esasperano la soggettività del conoscente che ‹vede› la realtà dal suo punto di vista pressappoco come l’ha sempre veduta, ma ora in modo esclusivo e totale, per questo non aumentano la conoscenza stessa, semmai la rendono accanita e ostinata, malgrado sia falsa.
La conoscenza mistica è vera conoscenza di una comunicazione che prima era sconosciuta, e non un aumento di convinzioni personali al limite della infatuazione e del fanatismo. In pratica la conoscenza scientifica è analitica ed assomiglia ad una discriminazione, mentre la conoscenza mistica è analogica e assomiglia ad un ordine che si basa sull’‹unità-distinzione›. Questo non significa che in alcuni casi la conoscenza mistica possa essere mescolata ad una certa dose di misticismo, ma si tratta di una impurità che diminuisce la mistica stessa. Gli interlocutori della conoscenza mistica diventano tra loro persone e realtà inseparabili, pur mantenendo la loro distinzione, mentre lo scienziato può anche innamorarsi della sua scienza, ma non necessariamente e solo occasionalmente, tanto che egli può benissimo vivere anche senza di essa. Si capisce perché questo tipo di conoscenza mistica non dipenda dall’età dello sviluppo cognitivo del soggetto conoscente, ma dalla partecipazione e dalla analogia che lo unisce nella ‹conoscenza› e non lo lega solo pro forma all’oggetto conosciuto. Soprattutto si capisce come una conoscenza del genere possa avvenire tra realtà così diverse tra loro da possedere non solo una ragione ed una affettività disuguale, ma persino una natura incomparabile. È evidente che chi conosce il ferro non si ferma a discutere con la pirite, ma è anche più vero che con questa conoscenza egli diventa fabbroferraio e la pirite diventa ferro, come se insieme avessero cambiato natura. È evidente che la mamma non si ferma a discutere con il bambino, ma il bambino diventa uomo e la madre diventa veramente madre e non solamente genitrice. È evidente che Dio…
Qui la situazione è ben più importante, anche se non è del tutto diversa: la bibbia ci racconta un fatto evidente: quello di Dio che si ferma a parlare con l’uomo e come l’uomo possa, in qualche modo, diventare divino e Dio, per così dire, diventare umano. Ebbene, nel caso di Mosè noi conosciamo il discorso di Dio e se vogliamo possiamo conoscere anche quella sorta di divinizzazione che questo discorso produce con la comunicazione mistica del suo significato: il discorso in parola si chiama ‹decalogo›.
I morti
Gesù chiama un discepolo a seguirlo, e costui rispose: “Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre”. Ma Gesù gli risponde: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece annunzia il regno di Dio”, (vedi Lc. 9, 59-62).
Quando si è visto Dio, quando una volta egli si è manifestato, muore un passato e comincia una nuova vita, allo stesso modo, ma con un valore ben diverso, dell’uomo che ha conosciuto il ferro che muore come uomo dell’età della pietra, per rinascere come artefice di un’epoca nuova.
15 mag. 07
Foto impressioni
I piccoli guardano in cielo
e giocano sulla terra.
Chi porta fiori non è mai triste
anche quando veste poveri panni.
Oh Signore!
Se mi fermo estatico ad ammirare la natura
che io ho ricevuto in dono da te,
chissà come sarà bella
quando mi chiamerai per vederla insieme a te
con i tuoi occhi!
18 mag. 07
Massime
7043
A teatro si va con la sposa o la fidanzata
in chiesa si entra personalmente eppure insieme.
7042
Si va a teatro e non in teatro
si va in chiesa e non alla chiesa.
Conoscenza ontologica (filosofia)
La conoscenza scientifica è finalizzata, prima di tutto perché si basa su delle ipotesi teoriche che si vogliono provare con l’esperimento scientifico, poi perché si vogliono conoscere gli effetti prtici della realtà conoscibile nei riguardi del suo ambiente e dell’uomo stesso e, infine, perché la conoscenza è indirizzata alla ripetizione di quei fenomeni che apportano un vantaggio e un bene per l’uomo, ovvero è sempre alla ricerca di un bene.Se la ricerca scientifica ha di mira l’acquisizione dell’utile soggettivo per l’uomo, allora la conoscenza non è ancora de-erotizzata, se diversamente quella del bene della realtà, allora tende ad essere sempre più obiettiva. Infatti, una ricerca ai fini di comprendere il bene di una realtà presuppone che la realtà stessa sia un bene, in quanto padrona di un proprio naturale efficace e ‹ordinato a…›. In altre parole, mostrare di possedere un bene significa ‹fare-bene› e ‹essere-bene›. La conoscenza così da scientifica diventa anche ontologica, perché manifesta il ‹proprio› naturale della realtà e non solo le ‹qualità› apparenti del decorso della sua esistenza.
21 mag. 07
Un paesano che cercava il mare (favola)
C’era una volta un buon paesano che voleva trovare il mare. Aveva già sentito dire che il mare esiste, si era già fatto un concetto di come fosse, lo immaginava come fosse una grande quantità di acqua e quindi sapeva che era bagnato, ma gli avevano anche detto che sulle sue rive fiorivano e crescevano le più belle piante, sulle sue onde navigavano i più grandi battelli diretti in nuove terre lontane e, nel suo seno, si muovevano una miriade incalcolabile di esseri viventi. Insomma aveva già una vaga idea di cosa fosse il mare, ma non l’aveva mai visto e, quel che non si vede è più difficile crederlo esistente.Così un giorno, fattosi coraggio, s’incamminò per cercare il mare. Lasciò il suo paese, dove almeno un po’ di acqua c’era, se non nelle fontane, almeno nelle pozzanghere e, dopo un po’ di strada, si trovò in un deserto, dove non solo mancava l’acqua, ma anche un minimo di umidità. Non si dette per vinto continuò a camminare, scoprì un ruscello, ne seguì il corso, si imbatté in un torrente, poi in un fiume, arrivò così sulle rive di un lago e qui dovette riconoscere di aver trovato tanta acqua sufficiente per supporre che quel lago fosse il mare. A questo punto, tuttavia, per essere sicuro di non aver cercato invano, s’immaginò un lago così grande, da essere solo acqua, senza niente di asciutto e, non contento di quel che aveva trovato, si mise a cercare di nuovo.
Basta! Alla fine, trovò quel lago che aveva sognato, così grande che aveva tanta acqua da coprire ogni terra e che aveva un orizzonte così lontano che non si sarebbe potuto immaginarne uno più grande e, solo allora, si convinse di aver trovato il mare.
Così è l’uomo che cerca Dio e lo trova solamente quando non smette di cercare il bene.
23 mag. 07
Chi disprezza il dono disprezza se stesso
Chi non apprezza il dono non solo lo svaluta come una cosa inutile, non solo travisa le intenzioni del donatore, ma anche rifiuta i sentimenti di chi dona. Chi porge il dono manifesta la sua stima per chi lo riceve, ma chi rifiuta il dono, rifiuta anche la stima che lo accompagna. Di fatto non vuole essere stimato ma, in questo modo, implicitamente giudica se stesso non all’altezza della stima che il donatore gli manifesta, in pratica, emette una sorta di auto condanna. L’isolamento che ne segue è la pena automatica per la sua mancanza di comprensione: chi è amato, se non ama, non capisce amore. Tutto questo non è un gran male se capita tra noi uomini che si sbagliano così spesso nel giudicare, ma quando l’uomo rifiuta i doni di Dio e li misconosce ha già firmato la sua condanna e ha abdicato al suo valore.Indole - carattere - personalità
Da qualche parte ho già scritto che il giudizio di un uomo non dipende solamente dalla sua ragione – anche se questa ne è responsabile –, ma è un atto di tutto l’uomo come unità di essere, esistere e spirito. Allo stesso modo la volontà non è una manifestazione del solo spirito. Ora, esiste anche un qualcosa che è principalmente proprio dell’essere come natura dell’uomo, ma che non si esprime se non nella interezza della sua persona. Il termine che più si addice a questa proprietà, potrebbe essere quello di ‹indole› o ‹carattere›, ma forse ancora meglio meriterebbe di essere chiamato ‹personalità›. Questa espressione dell’uomo nella sua interezza, considerato dal punto di vista della sua natura si rivela con l’uno o l’altro di quei termini proposti a secondo della razionalità che lo conosce. Il termine di personalità presuppone una conoscenza eidetica, mente quello di indole una iconica, e il termine di carattere è usato da chi ha una conoscenza concettuale.
Panteismo
Nella storia della filosofia è facile riscontrare alcune teorie tendenti al ‹panteismo›. Caratteristico, a proposito, è il panteismo di Spinoza, mentre per la filosofia di Hegel qualcuno ha coniato il termine di ‹panpsichismo›. Qualcosa di analogo si potrebbe dire di Schopenhauer: il suo panteismo – che più precisamente non merita questo termine – potrebbe chiamarsi ‹panvolontarismo›. Tutti questi modi di pensare tradiscono una mancanza di distinzione non solo nei riguardi dell’intero universo, ma anche una mancanza di conoscenza analitica dell’uomo nei riguardi se stesso. Per Spinoza il panteismo è ontologico ed egli considera la realtà unicamente come se l’uomo e l’universo intero fossero solo sostanza, in un certo senso, dimenticandosi che esiste anche una ragione ed una affettività. Schopenhauer asserisce che persino la ragione è solo volontà, e Hegel sembra invece considerare le realtà dal solo punto di vista della ragione. È evidente che un filosofo che vede tutto il mondo con la sola ragione lo possa confondere nel suo insieme come solamente pensiero di pensiero.
26 mag. 07
Foto impressioni
Non cade foglia che Dio non voglia. (Detto proverbiale).
Tempo di vacanza.
Anche i caprioli sono in ferie.
Il supermercato è chiuso, gli scaffali sono vuoti.
Il Signore si è sprecato nelle sue innumerevoli creature: persino una sola è così bella che non riusciamo nemmeno ad ammirarla quanto merita.
Un buio tunnel permette ancora di andare avanti
e un modesto fiore rallegra e incoraggia il cammino.
27 mag. 07
Lo Spirito Santo (domenica di Pentecoste)
Non c’è pace se i rapporti non sono trasparenti, ma non sono trasparenti senza la remissione dei peccati. Gesù è venuto a garantire il perdono in un regno tra fratelli che vivono uniti nella casa del Padre.Il primo dopo il sabato, dopo la condanna del Signore, gli apostoli si asseragliano in casa per timore dei Giudei, e Gesù risorto ritorna tra loro. Dopo aver augurato la pace si mostra così come è, con le piaghe della recente crocifissione. I discepoli al vedere il Signore tripudiano di gioia, e Gesù riprende: “Pace a voi!” Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (vedi Gv. 20, 19-23).
Tutto l’antico testamento è stato scritto per ricordare la bontà di Dio, anzi per testimoniare che l’unico Bene è Dio; all’infuori di lui non esiste altro bene e chiunque cerca un suo sostituto in qualche convenienza più o meno opportunistica si trova in balia di un idolo che è un caso fortuito e non è nemmeno una persona. Chi non sceglie Dio rifiuta il bene e si procura automaticamente ogni male, perché tutto è male dove non c’è l’unico Bene.
Da questo assunto ne viene che l’uomo che trova Dio ha trovato anche ogni bene. La conclusione è ovvia, ma la sua lettura è difficile. In pratica chi cerca Dio molte volte trova l’inimicizia, il dolore, la necessità e non sempre il bene. Come mai?
Si danno due interpretazioni possibili: la prima che dubita di Dio, la seconda che dubita del bene: la prima asserisce che Dio-bene non esiste, la seconda che il bene che vogliamo noi è diverso da quello che ci dona Dio. Riflettere sulla prima delle due interpretazioni è inutile, perché qualsiasi uomo cercherà sempre il bene e non si accontenterà mai di quello che ha trovato, quasi a riconoscere in pratica quel che dubita in teoria. Sembra quindi più ragionevole domandarci se ciò che noi abitualmente stimiamo un bene, in effetti non lo è sempre e non lo è mai completamente. Alle volte noi pensiamo che sia solamente bene, ciò che porta un benessere sia fisico, sia psichico e ci lamentiamo, per esempio, quando non siamo stimati e remunerati a sufficienza. Ma che cosa è un bene per Dio? Questa domanda diventa più precisa se noi pensiamo che il Sommo Bene – ogni bene senza alcun male – e Dio in persona hanno la stessa identità.
La bibbia, anzi a proposito, il nuovo testamento, ci dice che noi possiamo avere un rapporto con Dio e conoscerlo non solo per ‹Quel-che-è›, ma nello stesso tempo in Spirito e Verità. Si tratta della rivelazione della Trinità, dove l’unità e la distinzione sono Spirito, Vita e Verità.
Si tratta della rivelazione della Trinità, dove l’unità e la distinzione sono Spirito, Vita e Verità. Se si prende Questo Dio-Bene come risposta alla nostra domanda e alle nostre esigenze, non ci accontenteremo più solo di acquisire il benessere, anche se non lo rifiuteremo, ma ci metteremo nella disposizione di produrre benessere, per partecipare al Bene e per diventare parte viva di ogni bene. Lo Spirito è quella distinzione in seno all’unità che testimonia non la parte, ma la partecipazione, non l’avere e l’ottenere, ma il partecipare per essere, in qualche modo, simili a Dio. A questo proposito non ci manca nulla: non ci manca una natura che chiede di essere lavorata e non sfruttata, non un fratello che chiede di essere amato e non usato, nemmeno Dio che chiede la nostra partecipazione e non solamente una devozione gratificante. Il mondo cambia del tutto ed ogni cosa diventa ideale, ma solo se si rinuncia al possesso e all’egoismo, almeno per quel tanto che si è capito, poi passo dopo passo costruiremo, quasi insieme a Dio, persino quel che ci manca per arrivare al sommo Bene che è Dio stesso.
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